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Testimonianze

 
 

Il Temporale

Dalla viva ed emozionata voce di un capitano marittimo, il sig. Francesco Guttadauro, scampato ad una tremenda tempesta, verificatasi nel lontano 1948, esattamente il 12 dicembre.
Ci trovavamo a circa quindici miglia dalla nostra costa, all’altezza di Capo Scalabro, detto “A Sicca”. Tutto sembrava tranquillo, quando a un certo punto, mentre navigavamo verso l’isola di Malta per scaricare alcune mercanzie (frumento, fave, formaggio), il cielo si oscurò all’improvviso ed un vento fortissimo incominciò a sollevare le onde del mare fino a superare la murata del vascello.
Il motoveliero “S. Giovanni Padre” di proprietà del sig. Bertino, con l’equipaggio formato dal sottoscritto quale comandante e gli uomini di bordo, Ignazio Bertino, Gaetano Guttadauro (motorista) e Alessandro Iaquilino, incominciò ad imbarcare acqua.
Furono momenti terribili e, sebbene l’esperienza di molti anni di navigazione, ho avuto paura, ho pregato il SS. Crocifisso affinchè ci salvasse da quella terribile tempesta. Ricordo perfettamente come tutti i componenti dell'equipaggio ci si dava da fare per mantenere in rotta il motoveliero e non farlo capovolgere. Sia per la nostra abilità sia per le preghiere volte al Santo Protettore riuscimmo a scampare al disastro e portare in salvo il bastimento.
Mentre imperversava quella tempesta, anche a Gela, nello stesso momento, una tromba d’aria scoperchiava il tetto della pescheria di Piazza Roma.

 

Un naufragio

Questo fatto di mare è stato narrato dal sig. Rocco Ferrigno all’età di 101 anni nell’abitazione di suo figlio Angelo in via Cristoforo Colombo, dove abitava.
Nel lontano 1900, all’età di quattordici anni, mi trovavo imbarcato sul veliero “Rosaria Madre” di 70 tonnellate di proprietà di mio nonno Mulè.
L’equipaggio era composto di sei persone, appartenenti tutti alla stessa famiglia, quattro fratelli e due cugini: il capitano Nunzio Mulè, i fratelli Salvatore, Gaetano, Paolo e Nicola, il cugino Gaetano ed io.
Il veliero era ad un albero ed armato a vela latina con i fiocchi a prora.
Eravamo partiti da Napoli e diretti a Sfax (Tunisia) con un carico di patate. Il viaggio procedette bene.
Ultimato lo scarico della mercanzia, il comandante decise di ripartire alla volta di Gela dove era ad attenderlo la fidanzata, sig.na Angela Aliotta.
Mentre ci preparavamo per il ritorno a casa, il tempo cominciò a minacciare burrasca, e cercammo di convincere il comandante a desistere ad intraprendere il viaggio. Ma poichè il matrimonio era prossimo ed aveva tante cose da sbrigare, decise ugualmente di affondare il viaggio di ritorno.
Dopo aver iniziato il viaggio, appena fatto giorno, le onde del mare si ingrossarono fortemente minacciando di giungere fino in coperta. Ma l’aver avvistato la lanterna di Lampedusa, ci diede sollievo e coraggio, essendo ormai nelle vicinanze della Sicilia.
Improvvisamente il vento cambiò direzione e il capitano diede ordine a suo fratello Paolo e a me di manovrare le vele spostandole nella direzione opposta.
Mentre regolavamo le scotte, per un errore di manovra del timone o per un contraccolpo dell’onda che sbatteva sulla fiancata del bastimento, io cadi in mare. Indossavo l’equipaggiamento di difesa contro la pioggia (pantaloni e giacca di tela) e in testa avevo la “Magnuse” (copricapo caratteristico dell’epoca).
Subito mi trovai lontano dal bastimento spinto dalle onde e dal vento, e facevo sforzi enormi per tenermi a galla e stare il più vicino possibile al veliero. Mio cugino Paolo, intanto, aveva avvertito l’equipaggio della mia caduta in mare, e subito furono buttati verso la mia direzione salvagenti ed altri materiali galleggianti.
Sentii urlare il capitano Nunzio Mulè: “O salviamo Rocco o non si torna a Gela”.
Fu calata una scialuppa nel tentativo di raggiungermi ma le onde ben presto la capovolsero.
Con sforzi sovraumani e con grandissimo coraggio si riuscì a ribaltare la scialuppa e salirci sopra.
Con grande foga incominciarono a remare e incurante del rischio che correvano distanziandosi dal veliero cercarono di raggiungermi, ma le onde alte impedivano loro di potermi vedere e si orientavano attraverso la direzione delle mia grida che pian piano andavo scemando di intensità.
Nella caduta ero stato colpito da un tronco di legno sulla schiena, ed il dolore era lancinante, e nonostante lo sforzo per restare a galla ero riuscito ad aggrapparmi ad un pezzo di tavola e solo la mia giovane età mi diede la forza di resistere al freddo e alle onde, aiutato dalle preghiere che facevo al SS. Crocefisso.
Ero ormai all’estremo delle forze, come pure i miei cugini, ma ad un tratto ci trovammo vicini e afferratomi mi tirarono su anche se faticosamente.
Iniziammo a remare contro la morte per raggiungere il bastimento ed alla fine sfiniti dalla fatica riuscimmo ad afferrare una cima del veliero e poi salirci su.
Il viaggio si concluse sempre in mezzo al maltempo, ma felicemente perché arrivammo tutti sani e salvi.

 

Una tragedia di mare

Tra le tante sciagure che hanno colpito la marineria gelese c’è quella dell’affondamento della goletta “Maria SS dell’Alemanna” che causò la marte di alcuni marinai.
Ancora oggi molti ricordano quel terribile episodio accaduto il 18 novembre del 1945.
La Goleta “Maria SS dell’Alemanna” di 90 tonnellate, di proprietà del capitano marittimo Carmelo Di Bartolo, padre del vice prefetto dott. Rosario, stava navigando con un carico di marmo verso Messina proveniente da Carrara, quando all’altezza di Piombino una mina, forse trascinata dalle reti di un peschereccio verso terra, fece saltare il motoveliero che l’aveva inconsapevolmente urtata, causando la morte di cinque membri dell’equipaggio, compreso il capitano Carmelo Di Bartolo.
Si salvò soltanto il nostromo Antonino Aliotta che nel momento dell’impatto stava riposando nella sua branda. Egli si ritrovò in mare e al momento del recupero era aggrappato ad un pezzo di legno.
Il capitano Carmelo Di Bartolo era anche comproprietario armatore assieme a Rosario Sciascia, inteso Mariano, di un altro motoveliero chiamato “Due sorelle”.
Dell’equipaggio faceva parte anche in qualità di motorista il signor Medoro padre dello scrittore Rosario.

Fonte: Renzo Guglielmino

 
Il Crofisso del Carmine - Protettore dei marinai