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Il matrimonio

Anni fa il matrimonio era "un affare di famiglia”. Difficilmente era un matrimonio d’amore; l’amore sarebbe venuto dopo il matrimonio, con la convivenza (come dicono ancora oggi gli orientali).
I matrimoni erano, invece, di convenienza.
C’erano proprio dei “sensali” matrimoniali, che avevano il compito di “portare i matrimoni”.
In genere, i matrimoni avvenivano tra parenti o, comunque, nello stesso ceto sociale; difficilmente marinai sposavano figlie di contadini e viceversa.
Si diceva questo motto sentenzioso “Pigghia a terra do tò munnizzaru”.
D’altra parte la divisione del paese, anche topograficamente, diceva delle professioni degli abitanti: a sud la gente di mare, a nord i contadini, al centro della cittadina i “nobili” o comunque i “civili” cioè la borghesia.
I padri dei giovani e delle ragazze contrattavano il matrimonio dei figli tenendo presente soprattutto la dote. Per questo era favorito il matrimonio tra parenti, per evitare di perdere “a robba”.
Per questo molti padri si comportavano da “mastro Don Gesualdo” facendo sposare le figlie anche ad uomini non graditi, purché avessero la “roba”, mentre altri finivano per lasciare nubili le figlie per lo stesso motivo.
Quando c’erano detti “maneggi matrimoniali” le giovani non erano informate, se il pretendente non era gradito alla famiglia, quando c’erano discorsi di quel tipo, la ragazza interessata veniva allontanata dalla stanza, dove si facevano tali discorsi di “grandi” oppure si interrompevano i discorsi dicendo la frase “ci sunu i filini” (ragnatele).
Il “messaggero” o la “messaggera” cioe i sensali del matrimonio, qualora avveniva, venivano ricompensati.
Quando, finalmente, il pretendente era gradito, e ci si era messo d’accordo sulla dote, egli veniva ammesso “a salire”, come per visita, nella casa della futura sposa dove, finalmente, l’interessata poteva conoscerlo, unitamente alla famiglia di  lui che l’accompagnava.
Talvolta la conoscenza veniva fatta in chiesa, come per caso, la domenica quando si andava alla messa, oppure al corso o alla villa come per fare una passeggiata.
Allora cominciavano le liti familiari se detto giovane non piaceva fisicamente alla giovane, mentre “per famiglia e per dote” era gradito alla famiglia di lei; botte e minacce per la ragazza e segregazione in qualche stanza della casa, finché non mettesse “la testa a partito” e cioè non dicesse di si.
Se il giovane era accettato volentieri dalla ragazza, di sera (dopo il lavoro, se egli lavorava oppure per non dare nell’occhio ai vicini), poteva venirle a fare visita, in presenza sempre dei genitori di lei, e difficilmente stavano seduti vicino, era sconveniente uscire insieme (solo una trentina di anni fa i fidanzati potevano uscire a fare una passeggiata sempre accompagnati dai parenti di lei) talvolta i due fidanzati davanti e i parenti  qualche passo indietro; se, nonostante questi divieti, poi capitava che i due si lasciassero, per la ragazza era un problema trovare un altro fidanzato, perché, dal momento che era stata fidanzata con un altro e per giunta uscita insieme, era “compromessa”.
Se tutto andava bene, si fissavano le nozze, che erano sempre celebrate con rito religioso; prima del 1929, cioè dei Patti Lateranensi, che davano efficacia civile anche al matrimonio religioso, ci si sposava due volte, cioè di  mattina gli sposi andavano al Municipio per il matrimonio civile, e di sera in chiesa per il matrimonio religioso (o viceversa).
Il trattenimento avveniva in casa della sposa e, a seconda delle possibilità economiche, si offrivano dei dolci, gelati se era d’estate, e qualche liquore, magari fatto in casa, come i dolci, perché a quei tempi, c’erano delle donne che facevano le “pasticcere” a pagamento proprio in occasione dei festini, quali fidanzamenti, matrimoni e battesimi, se le possibilità economiche erano scarse, allora gli invitati si ancontentavano di fave e ceci abbrustoliti e qualche bicchiere di vino.
Nelle famiglie dei “civili” gli invitati venivano “selezionati”, e se si invitavano pure i contadini o persone che lavoravano presso dette famiglie, costoro non venivano fatte accomodare insieme ai veri invitati, ma in altri locali della casa e serviti per ultimi, quando addirittura, non dovevano servire.
Anche allora usavano i “regali di nozze”, che in genere, venivano fatti dai più intimi e bisognava in genere ricambiarli al prossimo matrimonio dei figli di coloro che l’avevano fatto.
Non c’era, in genere, il viaggio di nozze, tranne per i “civili” (e non per tutti); gli sposi, dopo il trattenimento, andavano a casa loro, accompagnati dalla madre di lei o da qualche parente di sesso femminile di lei che, dopo le ultime raccomandazioni agli sposini, li lasciava in pace.
L’indomani, i parenti intimi andavano a preparare la colazione e il pranzo agli sposini, rifacevano il letto, un po’ ammiccando e alludendo alla notte nuziale, cercando di capire i loro stati d’animo e nel pomeriggio, per otto giorni consecutivi, gli sposini ricevevano le visite di parenti ed amici; per otto giorni non uscivano di casa, quasi vergognandosi del loro nuovo stato.

Fonte: Rosa Maganuco

 
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